Walter Donegà legge meravigliosamente questa bella favola di Alessandra Fella del primo albero di Natale. Buon Natale a tutti!
C’era una volta un boscaiolo, tanto povero quanto onesto. Viveva in una vecchia baracca di legno in mezzo ad una radura con tutta la sua famiglia: la moglie, i tre figli e i suoi genitori.
La casa era piccola, ma accogliente, pulita e dignitosa. E tutti si davano da fare perché la vita scorresse serena:
la mamma si occupava della casa e faceva le pulizie nei palazzi dei signori; il papà tagliava la legna e scolpiva giocattoli da vendere alle botteghe artigiane; la nonna coltivava il piccolo orto che rendeva il necessario per loro e per il mercato; il nonno si dedicava a piccole opere di ferramenta. Anche i bambini davano il loro contributo: dopo la scuola aiutavano i genitori in tutto ciò che potevano. In quella casa non erano ricchi… ma erano felici e si volevano bene.
Un giorno il boscaiolo si addentrò in una foresta di abeti che non aveva mai visto prima, alla ricerca di un legno particolare. Passo dopo passo, la selva divenne talmente fitta che tra le fronde degli alberi, che sembravano mani adunche tese a bloccarlo, non riusciva a penetrare neppure la luce del sole. Eppure una strana sensazione lo spingeva a non fermarsi.
Giunse infine dinanzi a un vecchio cartello con una scritta quasi illeggibile: “PROPRIETÀ PRIVATA-VIETATO ENTRARE”.
Mentre già stava per tornare indietro, una luce vivida proveniente dal profondo di quel folto bosco cupo attirò il suo sguardo e lo spinse a proseguire.
“Alla fine -pensò- non mi vedrà nessuno… chi vuoi che passi da qui? E se dovessi incontrare qualcuno potrò sempre dire che mi sono perso e che pensavo che la luce provenisse da una casa…”
Giunse finalmente in una radura, al centro della quale cresceva un immenso albero del colore del sole. La sua meraviglia fu grande quando, avvicinandosi, si rese conto che era d’oro massiccio. Lo toccò e vide che i rami avevano la consistenza del legno ma, se venivano spezzati, assumevano la solidità del metallo prezioso. Iniziò a pensare: “Se ne staccassi qualche pezzo chi mai se ne accorgerebbe? È un albero, i rami ricrescerebbero, e il proprietario neanche ci farebbe caso. L’uomo che possiede una cosa così prodigiosa nel proprio giardino è di certo eccezionalmente ricco, e anche se io gli porto via una piccolissima parte del suo oro non gli dispiacerà. Anche perché io ne ho di sicuro molto più bisogno di lui.”
Più ci pensava, più trovava scuse per giustificare ciò che voleva fare, più sognava cosa avrebbe potuto comperare con quell’oro. Fu così che strappò alcuni dei ramoscelli più sottili, ne fece un piccolo bottino, e tornò a casa col sorriso sulle labbra e la gioia nel cuore.
Sua moglie non fu felice: “Non avresti dovuto prenderli! Per quanto pochi possano essere e per quanto noi se ne possa avere bisogno, tu li hai rubati! Devi restituirli!” L’uomo e la donna iniziarono a litigare, cosa che prima di allora non era mai accaduta, e le discussioni proseguirono per giorni e giorni, finché l’uomo, esasperato, non andò via di casa.
Il tempo passò: col denaro frutto della vendita dell’oro costruì una bellissima casa con tante stanze, comperò dei vestiti nuovi e lussuosi e dei cavalli lucidi e scattanti per muoversi. Ma la sua famiglia, che era rimasta nella vecchia casupola malandata, gli mancava… così iniziò a comperare regali per tutti nella speranza di riconquistarne l’affetto. Ma ogni omaggio gli veniva sdegnosamente restituito. Oltretutto, più si abituava alla nuova vita da ricco, più sentiva il bisogno di nuovo oro per soddisfare i propri desideri. E ogni volta andava nella foresta a staccare nuovi rami, sempre di più e sempre più grossi, trovando nuove scuse con se stesso per i furti.
Ma, ogni volta che tornava, accadeva una strana cosa: la sua pelle sembrava più scura e spessa e i suoi movimenti più legnosi. “La pelle si scurisce per il sole, è chiaro. E mi muovo con più fatica perché mi sono disabituato al lavoro e agli sforzi.”
Giunse finalmente la vigilia di Natale, e il boscaiolo preparò per se stesso un pranzo sontuoso. Mentre, però, maneggiava un coltello per affettare del pane, si tagliò… e, invece del sangue, dalla carne uscì un liquido trasparente simile alla linfa delle piante. E finalmente comprese! Corse verso il bosco incantato con tutta l’energia che gli restava. “Ti prego, fa’ che non sia troppo tardi.” Ma più si avvicinava alla radura, più i gesti si facevano rigidi. E poi accadde. Mentre saltava, i suoi piedi divennero profonde radici, il suo corpo tronco, la sua pelle si indurì tanto da trasformarsi in corteccia, le sue braccia si arrestarono a mezz’aria mutandosi in lunghi rami, i suoi capelli si convertirono in fronde e la sua bocca spalancata in una profonda cavità. Anche lui era diventato una parte di quella foresta, nella quale ogni pianta era stata un essere umano.
La sua disperazione era così grande che dai suoi occhi, che si erano trasformati in spessi nodi di legno, scesero calde lacrime di autentico pentimento. E tale era il freddo, che ogni lacrima, raggiunta la punta dei rami, si congelava trasformandosi in una piccola stalattite cristallina. Una, però, riuscì a toccare il terreno e, d’incanto, comparve una fata. “La tua avidità era stata punita, così come quella di molti altri prima di te. Ma tu sei stato il solo a provare un sincero rimorso. Va’… e che questa avventura ti sia di insegnamento.”
Il boscaiolo, magicamente tornato essere umano, non poté che ringraziare la buona fata e, tornato a casa, vendette tutti i suoi averi distribuendo il ricavato a chi ne aveva più bisogno. Poi, col cuore pieno di speranza e timore, tornò a bussare alla porta della sua vecchia baracca. E fu accolto con tutta la gioia e l’amore che gli erano mancati fino a quel momento. Decise, però, di conservare per sempre la memoria di quanto era accaduto, come monito affinché mai più l’avidità potesse impossessarsi di lui. E, ripensando a ciò in cui egli stesso si era trasformato, si recò nella vicina foresta, abbatté un piccolo abete, lo portò a casa e, in ricordo delle proprie lacrime, lo decorò con piccole sfere di vetro cristallino.
In breve tempo la sua storia fece il giro del villaggio, poi dell’intero regno, e si diffuse poi anche in quelli vicini fino a raggiungere i confini della terra. E tutti, colpiti e commossi, presero l’abitudine, a Natale, di tenere in casa un abete decorato con gocce di vetro o cristallo, e di porvi sotto i doni, in ricordo dell’uomo che, a Natale, aveva donato tutto per tornare ad essere felice.