Tag: passato remoto

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Canzone: Non Ti Scordar Di Me

Canzone: Non Ti Scordar Di Me
di Andrea Bocelli
Difficoltà: avanzato
Tempi: presente, passato remoto, gerundio

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Another request! This one is from Franco. He writes “This classic, composed by the great Ernesto DeCurtis, was recorded by many artists, both classical singers and regular popular singers. One especially enjoyable performance was that by Bocelli & Gheorghiu.”

The lyrics to this song are very poetic. Read them and then the translation. The words sometimes seem to be out of order. Can you follow the meaning?

So that you get a feel for the variety, below are three versions. Want to hear more versions? Here’s some more on YouTube!

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Andrea Bocelli e Angela Gheorghiu

Il Volo – Piero Barone

Mina

Partirono le rondini dal mio
Paese freddo e senza sole
Cercando primavere di viole
Nidi d’amore e di felicità

La mia piccola rondine partì
Senza lasciarmi un bacio
Senza un addio partì

Non ti scordar di me
La vita mia legata è a te
Io t’amo sempre più
Nel sogno mio rimani tu

Non ti scordar di me
La vita mia legata è a te
C’è sempre un nido nel mio cuor per te
Non ti scordar di me

Non ti scordar di me
La vita mia legata è a te
Io t’amo sempre più
Nel sogno mio rimani tu

Non ti scordar di me
La vita mia legata è a te
C’è sempre un nido nel mio cuor per te
Non ti scordar di me

 

Canzone: Papaveri e Papere

Canzone: Papaveri e Papere
di Nilla Pizzi
Difficoltà: intermedio
Tempi: presente, passato remoto, gerundio, passato prossimo, futuro

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Su un campo di grano che dirvi non so,
un dì Paperina col babbo passò
e vide degl’alti papaveri al sole brillar,
e lì s’incantò.
La papera al papero chiese: “Papà,
pappare i papaveri, come si fa?”
“Perché vuoi pappare i papaveri?” disse papà.
E aggiunse poi, beccando l’insalata:
“Che cosa ci vuoi far… così è la vita.”

“Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti,
e tu sei piccolina, e tu sei piccolina.
Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti,
sei nata paperina, che cosa ci vuoi far…”

Vicino a un ruscello che dirvi non so,
un giorno un papavero in acqua guardò,
e vide la piccola papera bionda giocar,
e lì s’incantò.
Papavero disse alla mamma: «Mammà,
pigliare una papera, come si fa?»
‹Non puoi tu pigliare una papera›, disse mammà.
‹Se tu da lei ti lasci impaperare,
il mondo intero non potrà più dire:›

‟Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti,
e tu sei piccolina, e tu sei piccolina.
Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti,
sei nata paperina, che cosa ci vuoi far…”

E un giorno di maggio che dirvi non so,
avvenne poi quello che ognuno pensò:
Papavero attese la papera al chiaro lunar,
e poi la sposò.
Ma questo romanzo ben poco durò;
poi venne la falce che il grano tagliò,
e un colpo di vento i papaveri in alto portò.
Così Papaverino se n’è andato,
lasciando Paperina impaperata.

‟Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti,
e tu sei piccolina, e tu sei piccolina.
Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti,
sei nata paperina, che cosa ci vuoi far…”

‟Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti,
e tu sei piccolina, e tu sei piccolina.
Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti,
sei nata paperina, che cosa ci vuoi far…”

Che cosa ci vuoi far…

 

Canzone: La Locomotiva

Canzone: La Locomotiva
di Francesco Guccini
Difficoltà: avanzato (Troppo difficile? Vedi la traduzione)
Tempi: presente, congiuntivo imperfetto, imperfetto, gerundio, congiuntivo trapassato, passato remoto, imperativo, passato prossimo

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Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli
ma nella fantasia ho l’immagine sua
gli eroi son tutti giovani e belli
gli eroi son tutti giovani e belli
gli eroi son tutti giovani e belli

Conosco invece l’epoca dei fatti, qual era il suo mestiere:
i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere
i tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
sembrava il treno anch’esso un mito di progresso
lanciato sopra i continenti
lanciato sopra i continenti
lanciato sopra i continenti

E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano
ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite
sembrava avesse dentro un potere tremendo
la stessa forza della dinamite
la stessa forza della dinamite
la stessa forza della dinamite

Ma un’altra grande forza spiegava allora le sue ali
parole che dicevano “gli uomini son tutti uguali”
e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
la bomba proletaria e illuminava l’aria
la fiaccola dell’anarchia
la fiaccola dell’anarchia
la fiaccola dell’anarchia

Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,
un treno di lusso, lontana destinazione
vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori
pensava al magro giorno della sua gente attorno
pensava un treno pieno di signori
pensava un treno pieno di signori
pensava un treno pieno di signori

Non so che cosa accadde, perché prese la decisione
forse una rabbia antica, generazioni senza nome
che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore
dimenticò pietà, scordò la sua bontà
la bomba sua la macchina a vapore
la bomba sua la macchina a vapore
la bomba sua la macchina a vapore

E sul binario stava la locomotiva
la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva
sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno
mordesse la rotaia con muscoli d’acciaio
con forza cieca di baleno
con forza cieca di baleno
con forza cieca di baleno

E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo
pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto
Salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura
e prima di pensare a quel che stava a fare
il mostro divorava la pianura
il mostro divorava la pianura
il mostro divorava la pianura

Correva l’altro treno ignaro e quasi senza fretta
nessuno immaginava di andare verso la vendetta
ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno
“notizia di emergenza, agite con urgenza
un pazzo si è lanciato contro al treno
un pazzo si è lanciato contro al treno
un pazzo si è lanciato contro al treno”

Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva
e sibila il vapore e sembra quasi cosa viva
e sembra dire ai contadini curvi il fischio che si spande in aria
“Fratello, non temere, che corro al mio dovere!
Trionfi la giustizia proletaria!
Trionfi la giustizia proletaria!
Trionfi la giustizia proletaria!”

E intanto corre corre corre sempre più forte
e corre corre corre corre verso la morte
e niente ormai può trattenere l’immensa forza distruttrice
aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto
della grande consolatrice
della grande consolatrice
della grande consolatrice

La storia ci racconta come finì la corsa
la macchina deviata lungo una linea morta…
con l’ultimo suo grido d’animale la macchina eruttò lapilli e lava
esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo
lo raccolsero che ancora respirava
lo raccolsero che ancora respirava
lo raccolsero che ancora respirava

Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore
mentre fa correr via la macchina a vapore
e che ci giunga un giorno ancora la notizia
di una locomotiva, come una cosa viva,
lanciata a bomba contro l’ingiustizia!
lanciata a bomba contro l’ingiustizia!
lanciata a bomba contro l’ingiustizia!

 

Canzone: Alla Fiera dell’Est

Canzone: Alla Fiera dell’Est
di Angelo Branduardi
Difficoltà: intermedio
Tempi: passato remoto

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Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò
E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò
Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo
che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne l’acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il toro, che bevve l’acqua, che spense il fuoco,
che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il macellaio, che uccise il toro, che bevve l’acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E l’angelo della morte, sul macellaio, che uccise il toro, che bevve l’acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E infine il Signore, sull’angelo della morte, sul macellaio,
che uccise il toro, che bevve l’acqua, che spense il fuoco,
che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò

 

Favola: Riccidoro e I Tre Orsi

Walter Donegà legge meravigliosamente le favole per i bambini. Non sei un bambino/a? Non importa! Ti aiuta a capire meglio l’italiano! Ascolta la favola di Riccidoro e I Tre Orsi letto da Walter Donegà mentre leggi il testo seguente.

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C’erano una volta tre Orsi, che vivevano in una casina nel bosco. C’era Babbo Orso grosso grosso, con una voce grossa grossa; c’era Mamma Orsa grossa la metà, con una voce grossa la metà; e c’era un Orsetto piccolo piccolo con una voce piccola piccola. Una mattina i tre Orsi facevano colazione e Mamma Orsa disse «La pappa e troppo calda, ora. Andiamo a fare una passeggiata nel bosco, mentre la pappa diventa fredda.» Così i tre Orsi andarono a fare una passeggiata nel bosco.

Mentre erano via, arrivò una piccola bimba chiamata Riccidoro. Quando vide la casetta nel bosco, si domandò chi mai potesse vivere là dentro, e picchiò alla porta. Nessuno rispose, e la bambina picchiò ancora. Nessuno rispose: Riccidoro allora aprì la porta ed entrò. E là, nella piccola stanza, vide una tavola apparecchiata per tre.

C’era una scodella grossa grossa, una scodella grossa la metà e una scodella piccola piccola. Riccidoro assaggiò la pappa della scodella grossa grossa «Oh! È troppo calda!» disse. Assaggiò la pappa della scodella grossa la metà «Oh! È troppo fredda!» Poi assaggiò la pappa della scodella piccola piccola «Oh! Questa sì che va bene!» E se la mangiò tutta.

Poi entrò in un’altra stanza, e là vide tre seggiole. C’era una seggiola grossa grossa, c’era una seggiola grossa la metà e c’era una seggiola piccola piccola. Riccidoro si sedette sulla seggiola grossa grossa «Oh! Questa è troppo dura!» disse. Si sedette sulla seggiola grossa la metà «Oh! Questa è troppo molle!» Poi si sedette sulla seggiola piccola piccola «Oh! Questa sì che va bene!» E vi si sedette con tanta forza, che la ruppe.

Entrò allora in un’altra stanza e là vide tre letti. C’era un letto grosso grosso, c’era un letto grosso la metà, e c’era un letto piccolo piccolo. Riccidoro si stese sul letto grosso grosso «Oh! Questo e troppo duro!» disse. Provò il letto grosso la metà.

«Oh! Questo e troppo molle!» lnfine provò il letto piccolo piccolo «Oh! Questo si che va bene!» sospirò, e subito prese sonno.

Mentre Riccidoro dormiva i tre Orsi tornarono dalla passeggiata nel bosco. Guardarono la tavola, e Babbo Orso grosso grosso disse con la sua voce grossa grossa «Qualcuno ha assaggiato la mia pappa!» Mamma Orsa grossa la metà disse con la sua voce grossa la metà «Qualcuno ha assaggiato la mia pappa!» L’Orsetto piccolo piccolo disse con la sua voce piccola piccola «Qualcuno ha assaggiato la mia pappa e se l’è mangiata tutta!»

I tre Orsi entrarono nella camera accanto. Babbo Orso grosso grosso guardò la sua seggiola e disse con la sua voce grossa grossa «Qualcuno si è seduto sulla mia seggiola!» Mamma Orsa grossa la metà disse con la sua voce grossa la metà «Qualcuno si è seduto sulla mia seggiola!» E l’Orsetto piccolo piccolo gridò con la sua voce piccola piccola «Qualcuno si è seduto sulla mia seggiola e l’ha rotta!»

I tre Orsi entrarono infine nella camera da letto. Babbo Orso grosso grosso disse con la sua voce grossa grossa «Qualcuno si è steso sul mio letto!» Mamma Orsa grossa la metà disse con la sua voce grossa la metà: «Qualcuno si è steso sul mio letto!» E l’Orsetto piccolo piccolo gridò con la sua voce piccola piccola «Qualcuno si è steso sul mio letto, ed eccola qui!»

La voce acuta dell’Orsetto piccolo piccolo svegliò Riccidoro, e voi potete ben immaginare come si spaventò nel vedere i tre Orsi che la guardavano. Balzò giù dal letto, attraversò la stanza di corsa, saltò fuori dalla finestrella bassa, e fuggì via nel bosco tanto in fretta come mai le sue gambe l’avevano fatta correre.